Assoldato il Colonnello per una rapida passata Romagnola in cerca di cieli tersi, calore e assenza di nebbie, partiamo di buon'ora alla volta di Tredozio, ridente località in provincia di Forlì.
Parcheggiamo in uno spiazzo lungo uno stradello pochi km oltre il paese, la temperatura è rigida inversamente proporzionale alla "virtù" del Colonnello, siamo ampiamente sotto zero, brina gelata tutt'intorno a noi.
Al settimo strato di maglioni di lana, cuffie, sciarpe e guanti, invito Peppe a non esagerare in quanto peggio della situazione attuale non avremmo trovato e in parte convinto dalle mie rassicurazioni, depone in auto con una certa riluttanza un paio di manicotti in kevlar e un preservativo rotto che tiene sempre con sè come ricordo...
Al termine dei preparativi veniamo affiancati e sfilati da un gruppetto di biker attempati a dir poco imbacuccati, tra cui "spicca" una bikeressa dalla favela logorroica, sicuramente una ragazza simpatica...
Per rianimare il Colonnello semi-assiderato sono costretto a minacciarlo di cospargerlo di liquido caldo non infiammabile, al che prontamente lo vedo saltare in sella alla bersagliera!
Il Gps del pedone dell'esercito segna -5 metri sul livello del mare, qualcosa non va...siamo oltre i 500 metri!
Le rampe iniziali sono all'ombra e mai troppo ripide, una volta passato il cartello del Parco delle Foreste Casentinesi il terreno si fa sterrato e man mano più ripido. Peppe intanto si è già tolto un paio di strati del vestiario.
Poco sopra di noi scorgiamo finalmente il sole fare capolino tra i tornanti immersi nel verde della faggeta, superiamo un paio di biker un pò in sovrappeso e cominciamo a sudare.
Le temperature si impennano, Peppe si denuda finendo anticipatamente gli strati, anch'io soffro e non ho altro che la possibilità di aprire la zip della giacca a tenuta termica no-frost.
Pure il suo gps si rianima e aggancia un satellite funzionante che lo proietta immediatamente a circa 900 metri sul livello del mare.
Giungiamo al primo passo di giornata ove incontriamo il gruppetto già avvistato in precedenza, la sosta è breve per la saturazione delle orecchie al cianciare senza soluzione di continuità della bikeressa.
Riporto solo uno stralcio: "Guarda che ginocchiere pesanti! Anch'io me le metto ma solo d'estate perchè facciamo discese più difficili e così le uso per non prendere le botte!" Uhm, siamo in inverno, quasi quasi la gonfio... Al Colonnello, intanto, giunto trafelato completamente madido di sudore, la vista di un'organismo femminile vivo o comunque ancora tiepido fa salire l'ormone e non fosse stato per la mia insistenza un paio di botte lui gliele avrebbe pure date.
Procediamo in direzioni opposte, il mio obiettivo inedito è la discesa su Bocconi, ad un primo tratto su larga sterratona segue l'imBoccone vero e proprio, un inizio flow davvero divertente in ambiente bucolico.
Il percorso procede vario e scorrevole fino al tratto centrale in cui il passaggio di moto da trial ha scavato eccessivamente il fondo rendendo l'avanzare più ostico per la presenza anche di roccette smosse.
Il finale in pineta adombrata e un passaggio accanto a un casolare sono degna conclusione di un trail decisamente degno di nota, il fatto poi che si sbuchi di fronte a un bar invitante, con locandine hot d'epoca pepperiana, pasta e caffè rendono il percorso quasi un must!
Una foto ad un mezzo d'epoca alquanto spartano, un rabbocco alla fonte e in breve raggiungiamo una variante sulla carta interessante, assolutamente da testare.
Si risale a spinta alcuni gradoni per poi procedere mezzacosta su uno stretto sentiero semi-abbandonato, passando ai piedi di ripidi crinali, scavalcando qualche albero caduto ed evitando le sterpaglie nel tratto conclusivo che si riaggancia ad una ripida carrabile.
Se il primo tratto è fangoso procedendo completamente all'ombra su fondo in terra e campi coltivati tutt'intorno, ben presto la roccia d'arenaria ne stravolge completamente l'incedere.
Le rampe sono al limite e oltre, il caldo inimmaginabile, Peppe si sta depilando e ogni tanto scivola sul sudore lasciato dietro di me (vi ricordo, l'ascella dell'Ash lascia la scia...)
Oltrepassiamo un paio di casolari diroccati da tempo, salutiamo un paio di cavalieri con al seguito un gruppetto di cani non molesti e nel sudore generale recuperiamo la traccia di crinale abbandonata in mattinata per la prima discesa.
Ad uno spiazzo al sole optiamo per una comoda siesta che suggerisce il titolo a questo post, l'ozio è piacevole, da tempo non assaggiavamo il tepore dei 15° ...
Ripartiamo controvoglia, il cambio dell'Enduro salta causa eccessiva usura, poco oltre, in salita, un ramettino infido si infila tra il forcellino e il pacco pignoni...non faccio neanche in tempo a rendermene conto che la frittata è fatta.
Grazie all'aiuto di Peppe facciam buon viso a cattivo gioco, smagliando e fissando la catena su un rapporto agile che mi permetterà di concludere senza problemi l'intero itinerario.
Qualche su e giù sul largo sentiero di crinale e siamo di nuovo al bivio di mattinata, proseguiamo lungo la forestale di crinale attraverso lussureggianti foreste di faggio fino ad intercettare un bel sentiero che evita in parte lo sterro e porta quasi diretto al passo del Tramazzo, da cui si diparte la miglior discesa di giornata.
La meta è il Lago di Ponte, una conca naturale raggiunta dopo aver attraversato i tipici crinali romagnoli con alcuni tratti d'adrenalina pura e insidie dovute principalmente alla presenza di numerose canaline di scolo acque in legno viscido.
Un'orda di merendoros per natura molesti e rumorosi rovina il clima rilassante del lago e ci impone rapida ripartenza con passaggio accanto al rifugio (chiuso) e risalita alla provinciale su fondo ghiaiato.
I paesaggi sono incantevoli, tipici crinali di arenaria si alternano a fitte foreste e in breve siamo nuovamente al passo del Tramazzo, quota 1000, dove ripercorriamo il sentierino dell'andata a ritroso, in questo verso completamente ciclabile.
Dalla successiva forestale imbocchiamo a sinistra l'ultima discesa di giornata, una larga mulattiera tramutatasi in sentiero per l'abbandono dell'unica borgata incontrata sul percorso, Casa Valdanda.
Immaginare che qualcuno potesse vivere in un posto così fuori dal mondo e selvaggio, a km e km dalla prima forma di civiltà, fa pensare a tempi davvero lontani, a civiltà contadine o attività di pastorizia ormai estinte.
L'incedere è sicuramente appagante, il sentiero è scorrevole e impreziosito dalla varietà dei boschi attraversati, in più qualche salto di roccia mette pepe all'avanzata, fino a guadare a valle il torrente Tramazzo.
Una traccia ben evidente seguirebbe il corso delle acque fino quasi all'auto, ma il fondo viscido e in parte fangoso ci costringe a deviare per un tratto su asfalto.
Poco prima del bivio per il rientro, Peppe, attardatosi con gli animali di una zoo-fattoria mentre ne approfitto per cercare una variante su prato, sfreccia oltre in direzione Tredozio.
Conscio della sua inadeguatezza a livello di orientamento, provo a contattarlo telefonicamente senza successo, in ogni caso l'avrei prima o poi ripescato sulla via del rientro, per cui opto per raggiungere l'auto senza ulteriori perdite di tempo.
Caricata la bici riesco finalmente a rintracciare il missing-in-action, il quale, alle porte del casello autostradale di Faenza, viene bloccato da una pattuglia in quanto sprovvisto di Telepass...
In realtà lo recupero qualche km a valle, intento a depredare una pianta di caki.
PS
Bel giro selvaggio, quasi completamente ciclabile, 38 km x 1700.
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