Rimanendo vago sulla nostra meta ("Andiamo a fare un giretto nel reggiano") e promettendo per l'ennesima volta un rientro in tempi decenti, riesco a convincere il fido Peppe a seguirmi, anzi, addiritttura a traghettarmi in auto fino all'inizio dell'itinerario, in località Valbona di Collagna.
Nonostante ci si alzi sempre poco dopo l'alba, tra una cosa e l'altra prima delle 9 è impossibile pedalare, sia ciò dovuto alla ricerca delle banane da discount, alla sistemazione del panino con sottiletta scaduta che tenta di scappare o alla maionese impazzita che si crede liquido sigillante tubeless e non ne vuole sapere di giacere tranquilla sul pane morbido dopo averne riempito tutti i varchi.
In più mi accorgo di aver la camera d'aria forata, ma mi limito solo a rigonfiarla, calcolando in oltre un'ora il tempo di totale sgonfiamento ritengo poter concludere senza grossi problemi tutto il giro.
Ovviamente problemi analoghi, anche se col lattice, li ha il Colonnello.
E così ci ritroviamo in un parcheggio per scambisti (omo) con bel panorama (di montagne) e uno strano sentore di m...alghe in lontananza, a poche centinaia di metri da Valbona.
"Può andare qua?" chiede timidamente con occhi da Gatto con gli Stivali il Colonnello, esausto per le ricerche di cui sopra. "Certo!" assicuro e rassicuro, il gps mentale mi dà l'ok, quota 850, 2 km in più del previsto in sella non si rifiutano mai!
Inizia la cerimonia di vestizione che in genere richiede più tempo di tutto il tragitto in auto e, al solito, devo convincere il collega a lasciare manicotti, felpe, guanti e cuffie di lana invernali, aiutato in questo dall'arida zona in cui ci troviamo, col sole che è già bello caldo all'orizzonte.
La Stump del Colonnello è già rovesciata, come sempre.
Prime panoramiche sul crinale dal Monte Castellonchio sotto il quale abbiamo parcheggiato e finalmente partiamo pimpanti in leggera discesa su asfalto, preceduti da sciami da mosche bramose del nostro sudore.
Attraversiamo quello che in breve definisco "il più brutto paese" del mondo, stalle maleodoranti alternate a vecchie case semi pericolanti senza soluzione di continuità.
E siamo senz'acqua.
Fermiamo il primo paesano che incontriamo e ci indica, con molta cortesia, probabilmente celando saggiamente un ghigno satanico, la fonte d'acqua del paese, sita poco più avanti, di fronte, a suo dire, alla sua dimora, una casa-stalla, come è d'uopo a Valbona.
Scorgiamo una sorta di fontanella con tubo di plastica annesso al rubinetto e una mezzadra avvolta in tipici abiti valbonesi (modello vedova sicula) ci saluta anch'essa cordialmente, celando...etc, e ci invita ad abbeverarci, lasciando un pò scorrere visto che a sua memoria mai nessuno aveva osato tanto.
E così riempiamo le borracce con questo gratuito Emerdgate e possiamo ufficialmente dare il via alla competizione, preceduti dalle mosche cui si sono aggiunti famelici tafani apripista.
Saliamo accanto alla chiesetta con annesso parcheggio, cimitero e stalla e ci sovviene un pensiero impuro nel senso di sporco, potevamo ivi parcheggiare per testare l'effettiva funzionalità dell'Arbre Magique scaduto!
Ma tant'è, mai piangere sul latte versato (vallo dire al casaro maldestro!) e continuiamo la salita, ora più ripida.
In lontananza, offuscati dagli sciami vari, ci sembra di scorgere un trekker che risale un bel pratone sul cui sfondo si staglia imponente il Ventasso.
Già con un occhio al gps per individuare una nuova traccia, ci rendiamo conto che in realtà il tizio è un pastore che sta rincorrendo l'unica pecora fuoriuscita dal gregge, ovviamente dal manto nero. Si sprecano congetture varie, raddoppiano i tafani, l'autan 24h ha già terminato l'effetto anti-insetti dopo 24 minuti e le ultime rampe prima di scollinare sono quasi un calvario.
Peppe comincia ad aver caldo e pare convenire col sottoscritto di aver fatto bene a lasciare i manicotti in macchina.
Siamo al bivio che da una parte porta a Pratizzano e dall'altra al Passo della Scalucchia, ora l'ascesa è insignificante, si pedala bene sempre su asfalto e ci godiamo i panorami.
A poco dal passo incontriamo finalmente due veri trekker o meglio runner, il loro passo è spedito, anche perchè inseguiti da un paio di cani pastori a dir la verità un pochetto fuori forma.
Richiamati dal padrone, desistono ben presto dal loro presunto intento protettivo e al nostro passaggio fan finta di non vederci per non dover intraprendere un'altra faticosa e inutile corsetta.
E siamo al passo, praticamente il GPM di giornata a quota 1363, dove un trivio di possibilità ci si schiude davanti: discesa su asfalto, sentiero ripido stretto roccioso e impedalabile e comoda forestale avvolta in rigogliosa faggeta.
Ancora mezzo assonnato e soprattutto ansioso di staccare i tafani, opto per le comodità, anche se son certo (come mi confermerà poi Capataz il guruCAI parmense) che il sentiero sarebbe stata la scelta più interessante.
Peppe ha già percorso questo lungo tratto che porta fino al Passo del Cerreto e infatti non si ricorda praticamente nulla, come sempre, per cui posso variare a mia totale discrezione sul percorso, come sempre.
Nei pressi del rifugio/ricovero Pra Po imbocchiamo una bella traccia in single track che abbandona per mezzo km la forestale (comoda sì, ma alla lunga un pò noiosetta) e si ricongiunge alla stessa poco prima di un tratto scassato in discesa tra rocce ingombranti che ci costringe a scendere per qualche metro.
Sbuchiamo in una radura con largo guado secco, è il Secchia, le cui sorgenti sono poco a monte del nostro passaggio, un sentiero non ciclabile conduce in pochi minuti al punto di interesse.
Rientriamo nel bosco e saliamo senza problemi al Passo dell'Ospedalaccio (1270), già citato in documenti medievali quale importante punto di ricovero e cura per i pellegrini che transitavano dall'Emilia alla Toscana.
Di fronte a noi si apre un notevole scenario alpestre, pascoli verdeggianti attraversati da flebili tracce che sembrano portare dirette fino al Cerreto, sito ai piedi dei bastioni rocciosi dello Scalocchio e delle più aperte praterie di Cima la Nuda sulle cui pendici si scorgono i tagli delle piste da sci.
Alle nostre spalle il gruppo dell'Alpe di Succiso si staglia nella sua completezza, le varie vette (Casarola, Alto, Buffanaro) si mostrano sempre più imponenti superando quota 2000, il contrasto tra il cielo azzurro sgombro da nubi e la roccia bianca è da cartolina.
Non resta che scendere sul sentiero scorrevole abbandonando la forestale, in un attimo lasciamo le praterie e ci addentriamo in un bel bosco pulito, qualche sali scendi, ma il sentiero è da sballo, rilassante e divertente fino al Passo.
Giungiamo sul retro del Ristorante del Cerreto, che, a detta del Colonnello, in passato ha riservato poco piacevoli sorprese sul conto finale, per cui ci fermiamo solo a sostituire l'Emerdgade con chiara fresca e dolce acqua dalla fonte, nonchè a inghottire un panino prima che la sottiletta se ne fugga.
Ripartiamo con un breve tratto in discesa su asfalto fino ad individuare il sentiero 98 che scende a Sassalbo, ben celato dal guard-rail della strada. L'accesso è inoltre ricoperto da una fitta vegetazione e i primi metri procedono con l'erba alta, quasi ad incutere un certo rispetto e di certo una qualche preoccupazione sull'effettiva ciclabilità.
Ma è sono un'impressione, in breve dopo un guado in cui si scende per evitare rocce, la traccia si fa evidente e il sentiero diviene mulattiera, con tante pietre arrotondate a coprirne il fondo. Chissà che lavorata per creare un simile percorso!

Per la felicità di Peppe che soffre di tendinite, si scende sullo sconnesso fino al paese di Sassalbo, una decina d'anni fa meta di curiosi e studiosi per i ripetuti avvistamenti di UFO. Non biasimo chi ha creduto al fenomeno (pare una rifrazione luminosa delle rocce di scavo nei pressi dei Gessi) soprattutto dopo aver bevuto l'Emerdgade poi shakerato sulla discesa smossa, gli effetti collaterali si rivelano in noi molto evidenti e soprattutto deleteri.
In preda ad allucinazione si fischietta il tema country "Dualing Banjos" di "Un tranquillo week end di paura" e ovunque paiono apparire i Vanni & Pacciani di turno, altro non risultano che essere le nostre ombre proiettate sulla bianca pietra. Sfiorato il paese, ci addentriamo nella valle del Rio Torbido, al cui lato i Gessi di Sassalbo formano strane figure contorte. La sedimentazione delle rocce è anacronistica, vedere per credere, altrettanto il percorso che seguiamo.

Il sentiero segue il letto secco dei torrenti e i muretti di contenimento sono da ostacolo al nostro incedere. Un miraggio illude il Colonnello, da uno di questi pare aver avvistato un getto di Pignoletto corrente, e si precipita a bocca aperta per farne il pieno. Naturalmente non poteva essere, in Toscana c'è solo Chianti!
Ma l'effetto, per lui, pare il medesimo, per cui lo assecondo, sapendo che ci aspetta un quarto d'ora di bici a spinta...

I tafani e le mosche ci raggiungono, pare che anche loro usino avanzati strumenti GPS e mi abbiano carpito in wireless la traccia! Bastardi! Ma so già come fregarli, a metà giro il demone dell'Explo si impadronisce sempre di me e li sperderò!
Ignaro dei miei deliri, il Colonnello mi raggiunge trafelato ai Prati di Camporaghena, una distesa prativa con scarsa vegetazione costituita quasi totalmente da felci e ginepri, degna delle brughiere descritte nel "Mastino dei Baskerville".

Fortuna vuole che non siamo in Inghilterra, non c'è nebbia, nè mastini, solo mosche e tafani.
Mentre Peppe rovescia la bici e fa un breve spuntino (avrà scambiato qualche bacca sospetta per chissà quale prelibatezza) mi studio il tratto conclusivo del sentiero 100 che scende diretto dall'Ospedalaccio, ottimo per un giro futuro soprattutto perchè evita il letto sassoso e il tratto a spinta (ma si perdono i Gessi).
"Se sapevo così mi portavo dietro l'arco", le parole del Colonnello riferite al luogo selvaggio in cui ci troviamo (o ha avvistato un condor?).
Dai Prati la traccia diventa interessante, si alternano discese e salite in single track ben pulito, evidentemente qualcuno percorre ancora questi sentieri, non vogliamo sapere chi.
Siamo alle porte di Camporaghena, un borgo antico ormai quasi abbandonato, il sentiero lo attraversa mostrandoci scorci architettonici degni di nota, alcune incisioni sulle travi delle case paiono essere state restaurate in tempi recenti, qui tutto è in pietra, i muretti a secco, le strade selciate, i tetti simil ardesia, sovrastati dai famosi Groppi, sui quali è stato ricavato un percorso attrezzato molto interessante.
Non c'è anima viva, un paio di auto semi-abbandonate (di qualche coppietta che fu?) un ronzio continuo di mosche, un latrato lontano.
E "Dualing Banjos".

Riprendiamo il tracciato verso Torsana, dove, prometto, ci fermeremo per un lauto pranzo...
Alcuni cartelli in legno indicano le emergenze attraversate, fontana delle 3 teste, canale di Finestrelle, canale di Trauri, molino pinco pallino vari e passato un divertente tratto di discesa ci imbattiamo in una stretta forra con annessa cascatella.
Peppe sta tirando dritto pensando al pranzo, lo invito a fermarsi e a raggiungermi per un paio di foto.
Ci addentriamo nella gola e memore delle mie inesperienze da Manolo (ma soprattutto convinto dall'insistenza del Colonnello preoccupato non tanto per un mio eventuale decesso, ma per la perdita della guida in un luogo dimenticato da Dio) rinuncio a scalare un masso per salire alla cascata, ci accontentiamo della limpida polla d'acqua ai suoi piedi.

Riprendiamo e un breve tratto a spinta ci separa dal borghetto di Torsana.
Se Camporaghena era quasi abbandonato, qua è totalmente abbandonato.
Saliamo indisturbati lungo i vicoli fino alla chiesa, scatto qualche foto, il silenzio è assordante, pure i tafani evitano Torsana!

Decidiamo di rimandare il pranzo a lidi migliori e infatti, poco oltre, in prenda a crampi allo stomaco, il Colonnello pianta la bandiera (rovescia la bici) di fronte al cimitero...ricavo una comoda sedia in pietra e altrettanto il mio prode compagno e diamo fondo alle ultime provviste: pure la maionese si è calmata e si lascia mangiare senza scappare dal morbido letto di pane!
Alla ricerca di qualcosa di commestibile rimasto ancora celato, estraggo dallo zainetto di Mary Poppins una bomboletta auto-riparante e solo grazie alla mia prontezza di riflessi anticipo il Colonnello già pronto a schiumarselo come panna-spray su un pugnetto di more testè raccolte.
E' l'uovo di Colombo! Mi ripara la camera d'aria e con le ultime dosi semplifica la vita pure al Colonnello, riavutosi dalle recenti allucinazioni infila il tubo nel buco giusto...(!)
Bella picchiata e siamo alla depressione, nel senso al punto più basso del giro, nel senso a quota 760.
Siamo ad un bivio, il sentiero guada il Rio Paleroso, mentre una comoda carraia prosegue verso valle. Dalla mappa e dalla traccia pare che si debba scendere troppo (fino a quota 550) per poi risalire da Sommocomano dove so esserci una bella forestale.
Optiamo per un'altra mezzoretta di bici a spinta fino a quota 1000, il fondo è purtroppo molto scomodo, pietre mosse e pendenza limitano ad un paio di brevi tratti la ciclabilità.
Il Colonnello va un pò in crisi, adducendo ben poco credibili motivazioni quali "mi sento solo", "mia moglie a casa mi aspetta", "sei sempre il solito exploratore", "non mi hai fatto comprare le banane", "siamo neanche a metà giro e siamo ancora in Toscana ed è quasi notte e non ho i manicotti", "la mappa del GPS è verde scura con fondo grigio e non si capisce niente", ecc...
Distanziatolo ritrovo la concentrazione, ma soprattutto il sentiero spiana, e, increbile dictu, c'è un trekker!
Non un fanatico di Star Trek da anni disperso, cosa che, vista la presenza di UFO in zona, poteva anche essere, ma proprio un escursionista!
Avido di buone novelle, mi precipito bramoso per estrapolare tutte le informazioni del caso.
Secondo la mia personale legge di Murphy, un paesano o un escursionista, presi sul loro terreno, non ti sanno mai dare alcuna informazione utile.
E ho ragione, come sempre.
Alla domanda: "sai se c'è la sterrata a breve?" glissa dicendo che anzi il sentiero si perde e di lasciar ogni speranza noi ch'entriamo (in stretto dialetto toscano maremma buhaiola!)
E così ci ritroviamo per una selva oscura che la diritta via è smarrita, ma nel giro di un centinaio di metri siamo sulla sterrata.
Ormai è fatta, comunico il lieto evento al Colonnello che fa un sospiro di sollievo sradicando un paio di larici centenari e occludendo il passaggio in un paio di punti.
Siamo alle pendici del Monte Ruozzo a quota 1050, saliamo verso il Monte Fiascone e poi in direzione del Passo del Giogo, dove per mia munificenza, accorcio il giro di qualche decina di metri di dislivello, spacciandolo per un taglio importante che ci farà recuperare ore e ore.
Dal Passo siamo dopo ore su asfalto, le prime moto sfrecciano incuranti di noi, qualche auto sgasa in salita...già sento la nostalgia di Torsana!
Individuo subito un taglio che ci conduce con tratti di Tree-ride (nuova disciplina olimpionica, free ride libero nel bosco schivando alberi) ai piedi del Lago Paduli, formato dalla diga del Lagastrello.

Tra i complimenti del Colonnello che ha scorto un rifugio, pedaliamo sul morbido tappetto d'erba che circonda le sponde del lago e ammiriamo il bel paesaggio che ci sovrasta, con le cime dell'Alto Parmense in bella evidenza.
Risaliamo di nuove sull'asfaltata e in breve siamo al rifugio, dove estorciamo alla riluttante avventrice un'incommensurabile spuma bionda, davvero rigenerante.
Mentre stiamo facendoci i cavolacci nostri, veniamo interrotti da un motorbiker che ci chiede se la forestale ci ha fermati.
Secondo le nuove disposizioni infatti saremmo punibili di sanzione in caso di attraversamnete di sentieri vietati.
Non so come sia la regolamentazione attuale, penso che al solito sia una bolla di sapone, fatto sta che lo abbiamo gentilmente allontanato invitandolo ad informarsi meglio ed eventualmente a non girare con l'Harley Davidson sulle malghe concimate.
La pausa è breve, l'ora tarda, un'altra variante ci permette di pedalare lungo l'ippovia, sospesi qualche metro sopra le rive del lago fino alla diga.
Non nomino neppure la possibilità di recuperare un'oretta di strada scendendo a Miscoso per asfalto e imbocchiamo il sentiero che porta al rifugio Città di Sarzana ai piedi del Monte Acuto.
Il fondo è compatto, ma la presenza di radici e massi, tipico del Parco dei 100 Laghi, ci costringe spesso al piede a terra o al tratto a spinta.
Il Colonnello dà fondo alle ultime energie, ma si vede che non è in gran forma e non ha più gran fiducia sulle mie stime per l'orario di rientro e rimane attardato lasciando sassolini bianchi e molliche di pane lungo il percorso.
Giunti quasi al culmine, sentendo in lontananza voci anche femminili, riesco a fare in sella una rampa mortale da vero sborone e arrivo ormai senza fiato completamente sudato e avvolto dai soliti tafani al bivio che scende a Succiso.
Il vocio si tramuta in orda di bambini in comotiva con accompagnatore che cominciano a tempestarmi di domande davvero intelligenti, del tipo: "si fa fatica in bici?", "vieni da là?" , "perchè stai sudando?", "cosa sono quelle punture e bubboni che hai su tutte le braccia e le gambe?", "perchè il tuo amico la fa a piedi?" al che ho immediatamente intimato al Colonnello di ripartire dal lago e farsela in sella in quanto squalificato.
Dopo il siparietto salutiamo l'allegra combricola, molesta quanto i tafani, e proseguiamo per un lungo tratto di largo sentiero/ carraia smossa che ci sfianca per il fondo sassoso e imprevedibile fino al guado del torrente Liocca alle porte di Succiso.
Risaliamo al paese in cerca di una fonte e, al solito, interpelliamo la vecchina del paese, che ci indica di recarci alla chiesa. Su un cucuzzolo. Dall'altra parte rispetto alla nostra meta. Evitiamo. Il Colonnello tenta, col suo innato carisma, di farsi offrire un bicchiere d'acqua, ma la vecchietta pare diventare sorda ad ogni sua richiesta, ma in un ultimo barlume di lucidità ci indica la piazza del paese. Poi scompare.
Ormai abituati ai fantasmi, alle visioni ed ai miraggi, scendiamo ed arriviamo ad una comoda fonte, tutto intorno stanno allestendo stand per la sagra dei funghi che si svolgerà in serata, molti giovani si accalcano e finalmente vediamo qualche bel panorama che non sia esclusivamente naturalistico.
Sottratto Peppe alle sirene, ripartiamo per la lunga ascesa asfaltata verso il Passo della Scalucchia e in prossimità del Monte Ledo tagliamo per un sentiero Spallanzani Style che ci fa risparmiare 50 metri di dislivello prima (cosa questa fatta altisonantemente notare al Colonnello) e perderne un centinaio poi (questa sotto silenzio, quando lo legge mi uccide...).

Ormai le forze non reggono più l'alfiere del nostro esercito e molti sono i tratti che deve percorrere a piedi bici a mano, alcuni a mano bici a piedi, ideale per me per scattare foto idilliache al tramonto in sua attesa.
Giunti poco sopra Pratizzano su asfalto, seguiamo la strada verso il bivio dell'andata e ci lanciamo per un tratto in discesa perdendo quota inutilmente ma guadagnando tempo. Ad un tornante dove in mattinata avevamo intravisto il pastore runner tagliamo su letame, mentre al tornante successivo, memore della ben poco positiva esperienza precedente, il Colonnello tira dritto e non si fida delle mie varianti.

Lo vedo incurante dirigersi verso Valbona, i fumi delle malghe lo irretiscono, recita ossessivamente "il mattino ha l'oro in bocca" e prosegue su asfalto verso l'auto.
Io taglio un km e giungo su sterrato tecnico sassoso diretto all'auto, ho tempo di fare un paio di panoramiche sul Ventasso, di osservare due piccioncini umani tubare ai piedi del Castellonchio e di sentire le frasi farneticanti del Colonnello portate dal vento "Mi piace l'odore del napalm al mattino". "Beppe, non è napalm, non è mattina e, soprattutto, non ti piace! Usa l'Autan per i tafani che ti stanno divorando."

Alla fin della fiera ci siam sparati quasi 60km e quasi 2000 metri di dislivello, ma per la tortuosità del percorso e i vari tratti a spinta la stanchezza percepita è sicuramente maggiore.

PS Tratto da una storia vera. Alcune conversazioni sono state riadattate, altre inventate di sana pianta. Ogni riferimento a militari è puramente casuale. Siamo arrivati a casa entro le 20. Vivi.
Le altre foto qui: https://www.facebook.com/fabio.cavazzuti/media_set?set=a.10151620443204205.1073741891.729209204&type=1